Algott 11"




Il lavoro di arte visiva che sto esplorando si presenta come un affascinante mosaico di immagini che mi rappresentano, un modo per indagare le dinamiche tra tecnologia, identità e privacy.
Al centro di questa composizione emergono annunci di venditori di televisori vintage, in particolare del modello Briongevega Algott 11, un oggetto che, seppur ormai storicamente superato, si rivela essere il catalizzatore di un processo inaspettato e profondamente simbolico per me.
Attraverso le fotografie di questi annunci, mi accorgo di un fenomeno singolare e inquietante: chi scatta le foto di questi televisori, inevitabilmente, si riflette sullo schermo. La superficie del televisore diventa così uno specchio involontario, e il suo riflesso si trasforma in un ritratto automatico, un’immagine che cattura non solo l’oggetto, ma anche la mia identità, o quella di chi ha scattato le foto.
Questo processo, apparentemente casuale, assume per me un valore antropologico e simbolico: i ritratti non sono stati creati intenzionalmente da chi fotografa, ma emergono da una relazione involontaria tra soggetto e tecnologia, tra identità e riflesso.Il risultato sono immagini che parlano di una società in modo quasi archetipico, rivelando aspetti nascosti di chi si mostra attraverso il monitor vintage.
Questi ritratti, così generati, mi raccontano di un’epoca, di una cultura di consumo, e di un rapporto con la tecnologia che ormai assume forme automatiche e inconsapevoli. Sono ritratti che parlano di una società che si auto-rappresenta senza filtri, senza mediazioni, in modo diretto e spontaneo.Tuttavia, questa spontaneità mi porta anche a riflettere più profondamente sulla privacy.
La stessa idea di anonimato e intimità, che potrebbe sembrare protetta dal fatto che l’immagine nasce da un annuncio di vendita, si dissolve nel momento in cui il riflesso rivela l’identità di chi fotografa.
La privacy, in questa dinamica, viene automaticamente e involontariamente compromessa. La fotografia di un annuncio diventa così anche una testimonianza di una società che, attraverso l’atto di mostrare un oggetto, espone involontariamente sé stessa.In questa opera, sento che l’arte si fa portatrice di un discorso antropologico e sociale, indagando come la tecnologia, anche quella più semplice come un televisore vintage, possa diventare uno specchio della nostra identità collettiva e individuale.
È un invito a riflettere sul ruolo che la tecnologia svolge nel nostro rapporto con la privacy, e su come, spesso, siano gli stessi strumenti a rivelare più di quanto noi stessi immaginiamo. È un lavoro che mi invita a guardare oltre l’immagine, a percepire un senso più profondo di una società che si autorappresenta e si espone, involontariamente, attraverso gli spazi più quotidiani e apparentemente innocui.

